(this post is also available in english) Questo post è la traduzione di un articolo che avevo scritto per la fanzine anarco-velista “The current’s against us“. Si puó leggere on-line o scaricare in formato PDF
Vagabondi Del Mare (11.1 MiB)
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Per sentirsi anarchico non è necessario aver letto Bakunin, Kropotkin e Proudhon. Allo stesso modo, non c’è bisogno di essere un esperto di letteratura nautica per mettersi a posto una barca e diventare un velista giramondo. Tuttavia mi ha entusiasmato scoprire che molte delle tematiche che mi interessano (tipo la vita a bordo come via d’uscita dalle costrizioni sociali, il navigare con pochi soldi, l’autocostruzione di barche, ecc.) sono piú o meno esplicitamente trattate in molti classici dei piú famosi navigatori.
Persino Joshua Slocum, il primo uomo a compiere un giro del mondo in solitario, nel 1895, aveva avuto la sua barca in regalo, quando era poco piú che un relitto, e la ricostruí da solo. Nonostante la sua carriera di capitano di lungo corso, quando decise di intraprendere la sua famosa circumnavigazione non gli restavano nemmeno i soldi per un cronometro, e si accontentó di basarsi sulla navigazione stimata per la longitudine, usando solo un orologio economico per l’ora approssimata, e rilevamenti del sole a mezzogiorno per la latitudine. Per molti aspetti, era un fenomeno da baraccone: in un’epoca in cui i mari erano solcati solo da mercantili, pescherecci e navi da guerra (1), nessuno poteva immaginarsi che un uomo volesse navigare per puro piacere, e affrontare un giro del mondo in solitario non poteva che essere considerato delirante.
Nel suo libro “Sailing Alone around the World”, il capitano Slocum scrive:
All’allontanarmi sempre piú dal centro della civilizzazione, ascoltavo sempre meno commenti circa cosa fosse e cosa non fosse redditizio. La signora Stevenson (2), parlando del mio viaggio, non mi chiese nemmeno una volta che cosa ne avrei ricavato. Quando arrivai in un villaggio Samoano, il capo non mi chiese il prezzo del gin, né quanto avrei potuto pagare per del maiale arrosto, ma disse “Dollari, dollari: l’uomo bianco conosce solo i dollari. ” “Non pensare ai dollari. La tapo ha preparato l’ava; beviamo e godiamocelo” […] “Il nostro taro è buono; mangiamo. Sull’albero c’è frutta. Lascia scorrere il giorno; perché mai dovremmo rimpiangerlo? Ci sono milioni di giorni a venire. L’albero del pane è giallo nel sole, e la veste di Taloa è ottenuta dall’albero dei vestiti. La nostra casa, che è bella, non ci è costata nient’altro che il lavoro di costruirla, e la porta non ha serratura alcuna”
Mentre i giorni scorrono ameni in queste isole del Sud, noi nel Nord stiamo lottando per le mere necessitá della vita. […] Essi hanno un’ottima ragione per amare il loro Paese e temere il giogo dell’uomo bianco, perché una volta che l’abbiano al collo, la loro vita non sará piú cosí poetica.(3)
Trent’anni dopo il giogo dell’uomo bianco era giá saldamente istituito su tutta la Polinesia. Alain Gerbault, il primo francese a compiere una circumnavigazione in solitario, fu affascinato dall’antica societá tribale. Sposó la causa degli aborigeni e utilizzó la sua popolaritá e i suoi libri per denunciare “la nefasta influenza della civilizzazione Cristiana sulle razze primitive.” (4).
Tornato in Francia nel 1929, il dandy provocatore concluse il suo best-seller scrivendo:
Se visitaste, come me, molti Paesi, sareste agghiacciati dall’incredibile pretesa dell’uomo bianco di imporre ovunque i suoi abiti e la sua strana concezione dell’esistenza. È sempre stato cosí. Di fronte ai “conquistadores”, la civiltà Inca sparí, nonostante fosse il miglior modello di organizzazione sociale mai raggiunto. La civiltà Azteca finí allo stesso modo, per quanto fosse largamente superiore agli invasori nella scienza dell’astronomia e nell’arte della scultura. A noi tocca vigilare affinché i Polinesiani non facciano la stessa fine delle civiltá Caraibiche, la qual cosa sarebbe una gran vergogna per la razza bianca, che non ha voluto intendere quanto questi aborigeni, felici e senza bisogni, fossero superiori nella scienza del saper vivere.
La nostra civiltà non vuole imparare la lezione offertaci da queste tribú. Nonostante il suo sviluppo meccanico e scientifico, la felicitá individuale è oppressa da un falso ideale: la conquista del denaro e dei piaceri fittizi che esso comporta. Ecco perché sta giá mostrando segni di declino, e sparirá come tutte le altre civilizzazioni.
Tuttavia, ultimamente, possiamo percepire un barlume di speranza: molte persone iniziano a capire che la felicitá risiede in un riavvicinamento alla natura e nella eliminazione di bisogni inutili, il che è l’unica via per salvare la nostra civiltá dalla rovina. (5)
…Zerzan applaudirebbe estasiato! E questo saggio è datato 1928!
Alain Gerbault ebbe una vita avventurosa ma corta. Neanche la su immensa fama sopravvisse alla seconda guerra mondiale. Ma il suo piú grande ammiratore, Marcel Bardiaux, fu cosí ispirato che dedicó tutta la sua gioventú a risparmiare ed allenarsi, per poter poi costruire un solido sloop con cui realizzare la prima circumnavigazione in solitario a passare Cape Horn da Est a Ovest. Come il suo predecessore, era consapevole che “Il vero benessere non consiste nel possedere molto denaro, ma nel sapere come farne a meno…” (6)
Contrariamente a Gerbault, Marcel Bardiaux non aveva un debole per l’alcool; anzi, da buon antitabagista, vegetariano e accanito promotore delle terapie naturali, continuó a navigare in solitario fino alla veneranda etá di 88 anni (quando attraversó l’Atlantico per la quarantesima volta), con alle spalle un’impressionante percorso di 400.000 miglia nautiche (piú di 18 volte la circonferenza della Terra!).
I due volumi che pubblicó sul suo primo giro del mondo furono ben accolti, e gli fruttarono abbastanza da potersi permettere la costruzione di un ketch interamente di inox, concepito per resistere a qualunque condizione metereologica e richiedere un mantenimento minimo (7). I suoi scritti posteriori, invece, non raggiunsero mai un vasto pubblico: erano stampe autoprodotte che vendeva personalmente durante gli scali. Bardiaux era troppo radicale e polemico per diventare un idolo delle masse, e nonostante la sua incredibile vita e i suoi numerosi scritti, alla fine morí in solitudine.
Animato da un ostinato spirito di indipendenza, questo navigatore individualista dal carattere contundente coltivava un senso acuto della libertá, e finanche un po’ di sana misantropia:“Il mio bisogno di libertá mi ha spinto a costruirmi una barca, anziché sfornare bambini […] Il nostro pianeta è giá sovrappopolato, le terre coltivabili sono sempre piú spesso sepolte sotto il cemento; sarebbe furbo mettere un freno alla natalitá, anziché incoraggiarla”(8) O “Dopo otto anni di indipendenza [la sua prima circumnavigazione], non posso piú tornare nel gregge, seguendo ciecamente e senza una ragione la pecora davanti, belando al suon del fischietto, lasciandomi mordere dai cani, passivo davanti alla proibizione di tutto ció che è salutare ed esaltante.” (9)
Nel 1955 Marcel Bardiaux fece scalo a Port Louis (Mauritius), e fu visitato dal giovane Bernard Moitessier, che volle mostrargli la sua nuova Marie Thérèse II, lo yawl che aveva appena finito di costruire dopo il naufragio della sua prima giunca sull’atollo Diego García, 3 anni prima. Bardiaux pensó che quella barca era “tutto il contrario della mia concezione di barca ideale” (10) e parló a Moitessier del suo progetto di costruirne una completamente in acciaio inossidabile (7). Tre anni dopo, navigando tra Sant’Elena e l’Ascension con Marie Thérèse II, Moitessier si rese conto che l’albero maestro e lo scafo erano giá marci, e rimpianse il suo “lavoro frettoloso”:
Questa vita libera di cui ho tanto sognato non sará mai una vita libera. Almeno non con questa barca, quando bisogna passare il tempo, in ogni porto, a realizzare impegnative “riparazioni strutturali” per mantenere in vita uno scafo che inesorabilmente, poco a poco, va a finire dove finiscono i granchi morti…
[…]Penso giá alla mia prossima barca… penso all’idea che Bardiaux mi ha suggerito, alle Mauritius, di una barca di acciaio inox […]una casa galleggiante che durerebbe per il resto della mia esistenza, richiedendo pochissima manutenzione, quasi nulla, e che mi consenta di dedicarmi di piú a quel che mi piace, senza dovermi prostituire appena arrivo a terra. (11)
Da notare come Moitessier utilizza l’espressione “prostituirsi” come metafora radicale per dire “trovare un lavoro salariato”. Sapeva bene di cosa stava parlando, visto che aveva appena passato 2 anni in Sud Africa “lavorando come un forzato” per finanziare il suo viaggio. Ma non si dedicó mai due volte allo stesso mestiere, “perché uno dei tratti del mio carattere è di evitare sempre la specializzazione, preferendo una padronanza sufficiente del maggior numero possibile di attivitá.” (12) Oltre ad essere uno scrittore di talento, il navigatore vagabondo era anche un gran pescatore in apnea e un campione di nuoto; sperimentó la permacultura negli atolli, la costruzione navale con ogni mezzo (incluso la cartapesta!), e lavoró nei settori piú disparati, da direttore di una piantagione a carpentiere, meccanico, venditore porta a porta, maestro di vela, ecc.
Negli anni cinquanta, insieme al suo gran amico Henry Wakelam (un altro navigatore solitario giramondo e brillante autocostruttore) fu tra i primi velisti ad usare cordame di fibra sintetica: ottenevano fili utilizzabili da pezzi di cime buttate nella spazzatura dai balenieri, e li intrecciavano fino a farne delle drizze!
I due amici divennero abilissimi a riciclare e vivere di espedienti, e la loro alimentazione disinibita non disprezzava cormorani e pinguini cacciati con la fionda, o addirittura le crocchette per cani… Tutto era ammesso, purché permettesse “di realizzare quel sogno che tanta gente coltiva affettuosamente nel profondo del cuore: salpare verso orizzonti sconosciuti, lasciando indietro le coercizioni della vita in seno alla società.” (13) Perché “al largo, si, c’è la libertá, una libertá completa, immensa come l’oceano su cui naviga Marie Thérèse II, una libertá bella e pacifica come il cielo stellato che contemplo la notte.” (14)
Nel 1969, Bernard Moitessier divenne una leggenda vivente: pur essendo il primo navigatore solitario ad effettuare un giro del mondo senza scali, anziché tornare in Inghilterra (dove avrebbe ricevuto, con ogni probabilitá, il primo Golden Globe e un titolo nobiliare conferito dalla regina) decise invece di far rotta nuovamente verso il Capo di Buona Speranza e Capo Lewin, fino a raggiungere Tahiti, realizzando quasi altri due terzi di giro per seconda volta. I giornali riportarono il messaggio che tiró con la sua fionda su una nave di passaggio: “Continuo senza scali verso le isole del Pacifico, perché in mare sono felice, e forse anche per salvare la mia anima”
La vita e le opere letterarie di Moitessier costituiscono un importante waypoint nella costruzione identitaria dei “vagabondi del mare”: “Sono un cittadino della piú bella nazione del mondo. Una nazione le cui leggi sono dure ma semplici, una nazione che non tradisce mai, che è immensa e senza confini, dove la vita si vive nel presente. In questa nazione senza limiti, fatta di vento, luce e pace, l’unico che detta legge è il mare”.
Molta gente rimase affascinata da questa filosofia… tra i tanti che l’abbracciarono, i piú famosi sono forse Gérard Janichon e Jérôme Poncet.
Erano appena diciannovenni nel 1968, quando furono a conoscere Moitessier per parlargli del loro progetto di un’avventurosa circumnavigazione che passasse sia dal circolo polare Artico che dall’Antartico… Un anno dopo, i due amici salparono per un viaggio di 5 anni a bordo del loro cutter di 10 metri. Per concretizzare il loro sogno, navigarono 55.000 miglia, la maggior parte delle quali in latitudini estreme. “Partire, volersi lasciare tutto alle spalle appena usciti dall’adolescenza, era dare deliberatamente una direzione (e anche un senso profondo) alle noste vite, accettando di essere messi da parte, paria per alcuni, oggetto di invidia per altri. Dovevamo essere sicuri di preferire sempre i sentieri non battuti alle strade asfaltate. […] Nel nostro spirito, il giro del mondo non era una scappatoia, ma una soluzione, una risposta. Venivamo dalla classe media, e rompere le catene delle coercizioni borghesi non era cosí facile come ci si potrebbe immaginare. Volevamo diventare gitani. Gitani dell’oceano. Un gitano nasce gitano. Non ha bisogno di spiegare la sua libertá, la sua concezione di felicitá. Ma noi dovevamo giustificare la nostra:
“Siamo giovani ma animati da una fede. La convinzione che solo attraverso il viaggio e il mare ci potremo realizzare. Ci sembra vano e troppo facile definirsi come uomo avvitando una placca sulla porta di un appartamento comprato con un mutuo di 20 anni.”
Gérard e Jérôme costruirono una barca e si diressero verso i ghiacci, non come exploit sportivo, ma “Per creare una vita come quella che avremmo voluto vivere.” Perché “La libertà, forse, o quel che piú le assomiglia, sta dalla parte dell’orizzonte quando lo spingiamo sempre un po’ più in là. Ma la libertà, come tutto il resto, va imparata; ci vuole un’iniziazione. Riscoperta di valori autentici, essenziali. L’uomo proviene dal mare, è logico che voglia ritornarci, oggi piú che mai, almeno per rifiutare il regno dell’artificio e i falsi valori che finiscono per forgiargli una maschera.” (15)
Nel 1974, Gérard Janichon pubblicò un libro sul loro viaggio, che ha venduto piú di 150.000 copie. Continuó a navigare e a vivere avventurosamente, ed è al giorno d’oggi un romanziere affermato.
Ed eccoci finalmente arrivati a menzionare i libri di un altro vero nomade del mare, uno dei miei preferiti: Vincent Bonnet, detto Goudis. Ispirato da avventurieri come Henry de Monfreid e Jack London, Goudis cominciò le sue peregrinazioni nautiche nel 1976, all’età di 20 anni, con 40 dollari in tasca e qualche bottiglia di vino sotto i paglioli. E solo nel 2001 si rimise in rotta verso la Francia, dopo 25 anni di avventure! I suoi scritti autobiografici sono un’eccitante sequenza di traversate, pesca in apnea, fughe da doganieri e poliziotti, storie d’amore, naufragi, pirati malesi, esplorazioni di relitti per riciclare materiale nautico, ecc… Il pentagramma della sua sinfonia è sempre lo stesso: né soldi in tasca, né documenti in regola, ma un sacco di esercizio alla pompa di sentina manuale. “Quanto meno ne avremo i mezzi, tanto piú il viaggio sará fruttifero, interessante. […] Soffriamo sempre di piú dell’atrofia mentale causata dalla profusione degli “aiuti alla navigazione” […] La metá dei velisti ignora la disciplina di manovrare senza motore, o senza una radio.” (16)
Certe volte “Una vocina mi dice che avere sempre le unghie lerce, le tasche vuote e una barca che cade a pezzi, dopo cosí tanti anni è un prezzo molto alto da pagare per la mia passione per i vasti orizzonti ” (17) Ma “Non rimpiango né rimpiangerò mai il mio flirt con l’acqua salata. Il Mare mi ha mostrato le sue parti piú intime, quando ero bambino, sulle coste Africane; mi ha lasciato accarezzare a lungo il suo corpo in perenne mutamento. Mi ha schiaffeggiato, a volte, nelle sue ire di amante selvaggia. Ma l’acqua salata è l’ispirazione fondamentale della mia vita, quella che mi ha permesso di sfuggire alle sfighe che assillano la gente sulla terraferma.”(18)
Nel suo libro piú famoso, Bleu Sauvage, Goudis cita Sterling Hayden (che era, ancor prima che attore, un vero avventuriero e un gran navigatore): “Per essere veramente stimolante, un viaggio -come la vita- deve riposare su solide basi di incertezza economica. Altrimenti, ci si riduce a una tremenda routine, del tipo conosciuto ai velisti della domenica che giocano con le loro barche in mare… diporto nautico, si dice. Viaggiare, invece, è prerogativa dei navigatori, e dei vagabondi del mondo che non possono, o non vogliono, farne parte.” (19)
Ancora una volta, siamo tra vagabondi di lungo corso… Nel contesto dei movimenti sociali ed ecologisti degli ultimi anni sessanta, l’appello di Bernard Moitessier per un mondo migliore e uno stile di vita piú prossimo alla natura arrivó addirittura a presagire -col suo stile tipicamente ingenuo- una comunità di hippy dell’oceano (o, in termini piú attuali, un collettivo di pirati postcapitalisti) all’ancora presso un’isola utopica:
“Un giorno, avremo dei piccoli walkie-talkie a pile, piccoli come un pacchetto di sigarette, e con una copertura di migliaia di miglia, cosicché gli amici potranno comunicare tra di loro senza ricorrere al passaparola… Ehi bello, siamo otto barche all’ancora in un posticino veramente tranquillo, cinque coppie hanno ciascuna un figlio, le altre tre hanno deciso di non averne, ma è come se tutti avessero cinque bambini, e i cinque figli unici hanno ciascuno quattro fratelli e sorelle. Vieni con noi… -E cosa fate in quel posticino tranquillo? – niente, viviamo, semplicemente, abbiamo piantato cose nella terra e crescono, patate, carote, insalata, abbiamo sparpagliato ovunque i semi delle nostre piante, le piccole foglie a forma di mano crescono già! E abbiamo libri del mondo scritti da autentici savi. Vieni, da quando siamo insieme non abbiamo più bisogno di pronunciare la parola “soldi”, stiamo bene, al calduccio, lascia stare gli altri, non preoccuparti di loro, gli altri ci raggiungeranno, prima o poi, se vorranno, vedrai. Dai, vieni!” (20)
Naturalmente, dagli anni sessanta, molta piú gente ha deciso di vivere su una barca a vela, cercando la libertá in mare, e questa cultura è ancora viva, specialmente in Francia, dove in ogni porto si trova qualche personaggio del genere (con la sua barca old-school, e la tipica cupola di plexiglass…). Inoltre, ultimamente, sempre più gente del giro squatter si sta procurando una barca, stanca di tanta repressione e alla ricerca di uno stile di vita un po’ piú sano… Vicino a Brest, un mese fa, hanno persino occupato una edificio con annesso cantiere navale (21)… Stiamo per assistere a una sorta di proliferazione di T.A.Z anarco-nautiche? L’ideale del nomadismo oceanico continuerà a crescere e a sviluppare una identità propria come fece a terra il movimento traveller negli anni ’80? Ci saranno porti occupati, incontri e festival su tutti i mari? Associando le ultime tecnologie con l’antica arte di navigare, riusciremo a far germogliare i semi di un’utopia nautica? Ci sará forse una comunitá nomade con insediamenti presso le isole piú remote? Un network galleggiante di vagabondi del mare, eredi della tradizione bucaniera, che condividono idee e rsorse?
Nel secolo scorso, Gerbault, Bardiaux, Moitessier, Janichon e Goudis hanno rappresentato dei gran esempi di pensiero critico e libertà nel mare.
Lasciamoci ispirare…
Metello
Note:
1) Il diporto nautico esisteva già, i primi yacht club risalgono infatti al XVIII secolo, ma era un’attività riservata alla più alta aristocrazia… e naturalmente i lussuosi velieri erano gestiti da un equipaggio al completo!
2) La vedova di Robert Louis Stevenson, che Slocum incontrò a Upolu, Samoa.
3) Da “Sailing Alone around the World” -Capt Joshua Slocum- Penguin Classics, pagina 138. (trad. personale)
4) Da“L’Evangile du Soleil” – Alain Gerbault- Fasquelle Editeurs 1932, pagina 198. (trad. personale)
5) Da“L’Evangile du Soleil” – Alain Gerbault- Fasquelle Editeurs 1932, pagina 214. (trad. personale)
6) Da “L’École de la Vie (1910/1994)” – Marcel Bardiaux– pagina 103. (trad. personale)
7) Questo ketch, chiamato Inox, meriterebbe un’intero articolo: fu costruito senza compromessi seguendo l’ideale di una barca inaffondabile e che durasse per sempre. Costata 6 anni di lavoro matto e disperatissimo, è il più ambizioso progetto di autocostruzione navale di cui abbia mai sentito parlare, insieme alla ricostruzione del Nahoon portata a termine da Henry Wakelam. Cinquant’anni e 360.000 miglia dopo il varo, Inox naviga ancora…
8 ) Da “L’École de la Vie (1910/1994)” – Marcel Bardiaux– pagina 176. (trad. personale)
9) Da “Entre deux tours du monde” – Marcel Bardiaux, 1979– pagina 16. (trad. personale)
10) Da “Au 4 Vents de l’Aventure, Par le Chemin des Écoliers” – Marcel Bardiaux, Flammarion, 1958; Arthaud 1998– pagina 251. (trad. personale)
11) Da “Vagabond des Mers du Sud” -Bernard Moitessier -Flammarion, 1960; Arthaud 1988. Pagina 200/201. (trad. personale)
12) Da “Vagabond des Mers du Sud” -Bernard Moitessier -Flammarion, 1960; Arthaud 1988. Pagina 118. (trad. personale)
13) Da “Vagabond des Mers du Sud” -Bernard Moitessier -Flammarion, 1960; Arthaud 1988. Pagina 218. (trad. personale)
14) Da “Vagabond des Mers du Sud” -Bernard Moitessier -Flammarion, 1960; Arthaud 1988. Pagina 164. (trad. personale)
15) Da “Damien autour du monde” – Gérard Janichon- Arthaud,1973; Transboreal 2010. Pagina 17/18. (trad. personale)
16) Da “Bleu Sauvage” – Vincent Goudis – Albin Michel 1991. Pagina 121. (trad. personale)
17) Da “Cap’tain Vagabond” – Vincent Goudis – Albin Michel 1997. Pagina 94. (trad. personale)
18) Da “Heureux qui, comme Goudis…” – Vincent Goudis – Pagina12. (trad. personale)
19) Da “Bleu Sauvage” – Vincent Goudis – Albin Michel 1991. Pagina 122. (trad. personale)
20) Da “La longue route” -Bernard Moitessier- Arthaud 1986. Pagina 210. (trad. personale)
21) Lo squat si chiama Moulin Mer
3 comments
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andrea.garbarino
February 19, 2014 at 1:43 pm (UTC 0) Link to this comment
Sono un giornalista ed editore e vorrei essere contattato per avere il permesso di pubblicare questo articolo, citando autore e fonte.
metello
February 19, 2014 at 4:25 pm (UTC 0) Link to this comment
Buon giorno Andrea,
Grazie per contattarci (ma sei Andrea Camillo Garbarino, l’autore di Luz?)
La nostra pagina è sotto licenza Creative Common, chiunque è libero di attingere ai nostri contenuti e pubblicarli a piacimento, citando la fonte. Nondimeno sono molto curioso di sapere in che contesto intendi farne uso…
Infatti, l’articolo “i vagabondi del mare” l’avevo scritto originariamente in inglese per la “fanzine” californiana “The current against us” (la rivista dell’Anarchist Yacht Club): è solo uno scorcio in cui ho preteso estrapolare l’aspetto piú anarchico dei capolavori della letteratura nautica, ma ovviamente non si puó ridurre a questo aspetto il pensiero degli autori che cito, ciascuno dei quali meriterebbe uno studio molto piú approfondito.
Se lo pubblichi, metti per piacere come fonte http://www.alliancesail.org e come autore Metello Alonge
Un saluto
Metello
metello
February 27, 2014 at 7:53 pm (UTC 0) Link to this comment
Caro Metello,
sì sono l’autore di Luz e di altro.
Ti ringrazio per la tua disponibilità. Ora sono in viaggio in India con poca internet. Ti scriverò in condizioni più favorevoli.
A.
in solitario attraverso l’Atlantico | L'Alliance
March 24, 2014 at 4:39 pm (UTC 0) Link to this comment
[…] grandi ammiratori di Alain Gerbault, non possiamo che applaudire alla prima edizione in italiano del suo libro di debutto: Seul, à […]
in solitario attraverso l’Atlantico | L'Alliance
March 24, 2014 at 4:44 pm (UTC 0) Link to this comment
[…] grandi ammiratori di Alain Gerbault, non possiamo che applaudire alla prima edizione in italiano del suo libro di debutto: Seul, à […]
Vagabundos del mar | L'Alliance
February 16, 2015 at 8:36 pm (UTC 0) Link to this comment
[…] en 2012, para la fanzine “anarco-velista” The current’s against us. También hay una versión en italiano. Al traducirlo al castellano aproveché para añadir un parrafo sobre Julio Villar, navegante […]